Arredo Made in Lombardia, l’export vale 7 miliardi di euro

Nonostante le difficoltà degli ultimi anni, il comparto dell’arredo.design italiano è riuscito a superare la crisi. Tanto che ui numeri riferiti all’export sono decisamente in positivo. A evidenziare i numeri della filiera è l’Ufficio Studi della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, in occasione del Salone del mobile di Milano. I dati da un lato evidenziano una fisiologica variazione in negativo delle imprese sul territorio, ma dall’altro riflettono anche una spinta alla ripresa sostenuta dal design e dalla crescita delle esportazioni.

Il boom delle esportazioni 

Complessivamente nel 2021 l’export del settore arredo design per i territori di Milano Monza Brianza Lodi vale circa 1,7 miliardi di euro, di cui il 90% ha origine dalla fabbricazione di mobili e il restante 10% dall’industria del legno. Si tratta di poco meno della metà del totale delle esportazioni lombarde di questi prodotti. Rispetto al 2020, l’export fa registrare +27%. Stati Uniti, Francia, Cina, Svizzera e Germania sono i primi Paesi di destinazione. È quanto emerge dall’elaborazione dell’Ufficio Studi della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati Istat. “Il 60esimo Salone del Mobile è un’attesa iniezione di fiducia per Milano e il Paese. – ha dichiarato Carlo Sangalli Presidente della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi – È la dimostrazione che il nostro sistema economico si è rimesso pienamente in moto ed è capace di generare innovazione e crescita, come conferma il balzo in avanti dell’export del settore moda-design. Ma il Salone del mobile significa anche il ritorno dei grandi eventi che hanno rafforzato l’immagine di Milano nel mondo e che costituiscono il motore principale della sua attrattività”.

I numeri della filiera sul territorio 

Tra Milano Monza Brianza e Lodi la filiera dell’arredo design comprende più di 6.800 imprese attive e conta, in termini di posti di lavoro, poco meno di 38.000 addetti, che valgono circa il 2% del totale delle attività economiche e l’1,5% dell’occupazione. Tra i settori, le attività di design specializzate contano 2.580 imprese attive, seguite dalla fabbricazione di mobili con 2.175 imprese attive nei tre territori e dall’industria del legno (1.202). A queste si aggiungono 919 attività del commercio al dettaglio di mobili e complementi. A livello nazionale, Milano si conferma la capitale del design (con 2.161imprese), primato per Monza e Brianza nella produzione di mobili (1.357 imprese). 

Cresce la digitalizzazione delle imprese

Con l’emergenza sanitaria la gran parte delle Pmi italiane ha dovuto fare necessariamente i conti con alcuni processi di digitalizzazione, magari prima rimandati. E ora queste mosse stanno dando i loro frutti, anche se ancora metà delle imprese è ai primi passi. A delineare la situazione delle Pmi tricolori  è PidOsserva, l’Osservatorio nazionale dei PID – Punti Impresa Digitale, strutture istituite dalle Camere di commercio nell’ambito del Piano nazionale impresa 4.0. Alla base dell’analisi effettuata da Unioncamere e Dintec, le risposte che tra il 2018 e il 2021 oltre 40mila imprese hanno fornito a “SELF i4.0”, il test di autovalutazione della maturità digitale, presentate oggi nel corso di Orizzonti Live Lab 2022-IoRiparto, rassegna organizzata da IoRiparto in collaborazione con la Camera di commercio Chieti Pescara.

Con la pandemia è iniziata la corsa alla digitalizzazione

“La pandemia, con le restrizioni che ne sono derivate, ha accelerato la corsa degli imprenditori all’utilizzo del digitale. Sono quasi 450mila le imprese aiutate dai Pid delle Camere di commercio in questo percorso di innovazione ed i risultati cominciano a vedersi: il livello di maturità digitale delle nostre imprese è aumentato di circa il 9% rispetto al periodo pre-Covid”, sottolinea il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli. “E’ ancora marcata, però, la distanza tra le aree del Paese: le regioni del Mezzogiorno hanno una maturità digitale inferiore di oltre 10 punti percentuali rispetto a quelle del Centro-Nord. Un gap che dovrà essere ridotto anche grazie ai progetti del Pnrr”.

Le tecnologie più diffuse

Tra le tecnologie abilitanti per restare operativi anche da remoto, adottate dalle imprese,  la più diffusa è stata quella relativa ai “pagamenti mobili attraverso internet” (utilizzata oggi dal 41,3% delle imprese) che nel 2020 si collocava al 3° posto; al secondo posto segue il Cloud – al 1° posto nel 2020 – (pari al 39,1%) e al terzo posto la cybersecurity – 4° posto nel 2020 – crescendo progressivamente di importanza (pari al 35,8% degli utilizzi).Rispetto al 2018, le imprese che utilizzano il Cloud e i pagamenti elettronici sono aumentate di 8 punti percentuali; quelle che si avvalgono di strumenti di cybersecurity e che hanno avviato un e-commerce di 9 punti.

I settori delle aziende più digital

La crescita della maturità digitale in questi anni è stata più consistente tra le imprese dei servizi e della manifattura rispetto a quelle agricole, tra le attività di medie e piccole dimensioni rispetto alle imprese micro e tra quelle che operano all’interno di una filiera (B2B) rispetto a quelle che hanno rapporti con il cliente finale e sul mercato (B2C).

Il 5G cresce: nel 2021 660 milioni di abbonamenti in tutto il mondo

Secondo i dati dell’ultimo Mobility Report di Ericsson oggi il 5G costituisce circa il 9,5% degli abbonamenti mobili a banda larga, e poco più dell’8% di quelli totali. Il 5G sta crescendo più di ogni altra tecnologia, e ormai inizia a rappresentare una fetta consistente del mercato mobile. Il 2021 si è chiuso infatti con 660 milioni di abbonamenti 5G in tutto il mondo, 98 milioni in più nel solo quarto trimestre dell’anno. Ma a crescere sono anche gli operatori che lanciano servizi di quinta generazione: sono circa 200, venti dei quali hanno implementato reti 5G standalone, ovvero in tutto e per tutto autonome.

L’85% degli abbonamenti mobile è a banda larga

Tra ottobre e dicembre scorsi, il numero di abbonamenti di tipo mobile broadband, quelli che consentono di utilizzare app e servizi online, ha raggiunto i 6,9 miliardi, con un incremento del 6% anno su anno.
Di fatto, oggi l’85% degli abbonamenti mobile è a banda larga. Si rafforza la leadership degli abbonamenti Lte, che nell’ultimo trimestre del 2021 sono aumentati di circa 37 milioni, arrivando a un totale di 4,7 miliardi, ovvero il 57% di tutti gli abbonamenti mobili. Diminuiscono, invece, gli abbonamenti alle più datate reti HSPA (-51 milioni) e GSM (-52 milioni).

Il traffico dati supera la soglia degli 80 exabyte

Grazie all’aumento di abbonamenti complessivi, alla diffusione di reti più performanti (come Lte e 5G) e all’elevato consumo di video, il traffico dati nel quarto trimestre 2021 è aumentato dell’8% rispetto al terzo, e del 44% anno su anno. Il traffico dati è quindi più raddoppiato nel giro di due anni, superando per la prima volta la soglia degli 80 exabyte. Il Mobility Report conta anche il numero di Sim in circolazione: nel solo quarto trimestre 2021 gli abbonamenti alla rete mobile sono cresciuti di 24 milioni di unità, portando il numero complessivo a 8,2 miliardi. Il maggior contributo trimestrale proviene da Cina (+5 milioni), Stati Uniti (+4 milioni) e Pakistan (+3 milioni).

Divario tra utenti unici e schede totali

Ormai da tempo le Sim superano la popolazione umana mondiale, riporta Agi: ce ne sono 104 ogni cento abitanti, con una penetrazione più elevata nell’Europa centro-orientale (dove la penetrazione è del 138%) e occidentale (124%). Solo in Africa (85%) e India (78%) gli abitanti sono ancora più delle Sim. Il numero di abbonati mobili unici è invece pari a circa 6 miliardi. Il divario tra utenti unici e schede totali è in buona parte dovuto alla presenza di più Sim per persona o di abbonamenti inattivi.  

Imprese lombarde, nel 2021 in recupero verso i livelli pre-crisi

Unioncamere Lombardia ha rilasciato i dati delle anagrafi camerali sull’andamento della demografia per le imprese lombarde. Alla fine del 2021 le imprese attive in Lombardia erano pari a 814.756, lo 0,5% in più su base annua, una crescita che secondo Unioncamere consente di recuperare i livelli precedenti la crisi generata dalla pandemia da Covid-19.
Potrebbe trattarsi di un primo segnale d’inversione di tendenza, ma nel complesso il dato risulta ancora lontano dai livelli del 2019. E nell’analisi della nati-mortalità d’impresa si impone una certa prudenza, poiché le cessazioni sono state frenate da sostegni istituzionali e moratorie volte a salvaguardare il tessuto imprenditoriale dagli effetti della crisi.

Ripresa delle iscrizioni: +19%

Di fatto, la dinamica recente è stata condizionata dalla crisi economica generata dalla pandemia. Dopo il sostanziale congelamento delle posizioni nel 2020, l’anno scorso ha visto una ripresa delle iscrizioni (57.177 movimenti, pari al +19% su base annua), che si sono quindi riportate su valori pre-crisi. Per le cessazioni invece il recupero è stato modesto (54.450 movimenti, pari al +1,4%) e solo negli ultimi mesi si è registrata un’accelerazione delle chiusure. La crescita imprenditoriale registrata nel 2021 in Lombardia risulta esclusivamente frutto del maggior numero di società di capitali (+4,7% su base annua), con un incremento particolarmente rilevante per le società a responsabilità limitata semplificata (+13,6%) preferite sempre più spesso alle Srl a socio unico (-4,8%).
L’80% delle società di capitale rimane formato da Srl ‘tradizionali’, in crescita del +4,9%, mentre le società per azioni aumentano del +2,5%.

Tassi di crescita maggiori per attività femminili e giovani

I risultati del 2021 fanno emergere segnali interessanti anche in merito alle caratteristiche degli imprenditori. Il tasso di crescita per le imprese femminili è superiore alla media (+1,2%) così come per le imprese giovanili (+1,3%) dopo un lungo trend decrescente. Questa vitalità dell’imprenditoria giovanile è probabilmente aiutata dal boom delle attività digitali e su web, che hanno fatto da volàno allo sviluppo dei servizi avanzati. Rallenta invece, dopo gli incrementi significativi degli anni passati, l’aumento di imprese straniere (+0,2%), presumibilmente anche per le restrizioni che hanno ridotto la mobilità internazionale durante la pandemia.

“Nel 2021 è tornata la voglia di fare impresa”

“Nel 2021 è tornata la voglia di fare impresa: in Lombardia sono state avviate più di 57 mila nuove attività, riportandoci sui livelli del 2019 – ha dichiarato il Presidente di Unioncamere Lombardia, Gian Domenico Auricchio -. Le imprese guidate da donne e giovani sono sempre più numerose, in particolare nelle aziende di servizi con elevato contenuto professionale, scientifico e tecnico e nei settori finanziario e assicurativo”.

Offerte di lavoro: quasi 10mila in turismo, ristorazione, gdo e retail

Ripresa, crescita e consumi: queste le speranze che danno il via alla stagione che prevede l’impennata di acquisti per le festività natalizie, weekend e vacanze fra le nevi in hotel o resort, e i ritrovi con amici e parenti. In questo scenario ancora incerto, con l’uscita dalla pandemia ancora lontana, ma allo stesso tempo con una previsione di minori restrizioni rispetto allo scorso anno, il mercato del lavoro sembra ottimista. Turismo e ristorazione infatti esplodono, con il 133% in più di offerte di lavoro sullo stesso periodo del 2020. Un dato che conferma la ripartenza del settore evidenziata già tra aprile e giugno 2021, con il +97% sul 2020. Ma anche commercio, gdo e retail sono in crescita, con il 2,4% in più di offerte. Si tratta di alcune evidenze emerse dall’osservatorio InfoJobs professioni invernali per la ricerca di lavoro online.

Cercasi addetti alle pulizie e alla ristorazione

Nel periodo ottobre-novembre 2021 le offerte presenti sulla job board nei settori turismo e ristorazione e commercio, gdo e retail, tradizionalmente impattati dalla stagione invernale, si attestano infatti su quasi 10.000. Analizzando le offerte presenti sulla piattaforma, InfoJobs ha classificato le professioni più cercate nei due settori di riferimento. Al primo posto, in turismo e ristorazione, sono gli addetti alle pulizie, dal 2020 figure sempre più importanti in seguito alle nuove disposizioni di sanificazione da attuare nelle strutture turistiche e nella ristorazione. Al secondo posto, gli addetti alla ristorazione, seguiti da altre figure più specializzate e sicuramente chiave in questa stagione dell’anno: cameriere, barista e cuoco. Questi ruoli prevedono non solo competenze ed esperienze specifiche, ma anche la disponibilità a spostarsi, per il periodo dell’incarico, in Italia o all’estero.

Le posizioni più richieste da gdo e retail

In pole position per commercio gdo e retail si piazza la professione di addetto alle vendite, posizione ricercata in diverse categorie merceologiche, dal giocattolo a bellezza, moda e accessori, gioielleria e molto altro. Stessa situazione per la figura di Promoter, che occupa la seconda posizione, mentre al terzo posto ci sono gli store manager, responsabili della gestione di negozi o corner di grandi magazzini, fondamentali per gestire al meglio la stagione più importante dell’anno. Al quarto posto invece il macellaio, figura immancabile nei reparti gastronomia presi d’assalto a dicembre, per finire con addetti magazzino e scaffalisti in quinta posizione, impiegati per garantire rifornimento e gestire lo stock.

Quasi 6500 offerte attive

Nonostante la stagione sia già iniziata nella gdo, riporta Adnkronos, attualmente ci sono quasi 6500 offerte attive, ma è possibile trovare diverse posizioni la cui ricerca è ancora aperta, come il facchino in hotel di lusso a Milano, con esperienza pregressa e conoscenza dell’inglese, gli immancabili animatori turistici per villaggi in Italia e all’estero, la beauty consultant per beauty corner a Roma, ma anche addetti al confezionamento pacchetti, personale per un parco tematico nel veronese, e perfino un ausiliario della sosta in Val d’Aosta.

Agroalimentare, bilancio positivo e capacità di fare sistema


Il primo appuntamento con gli Stati Generali sul mondo del lavoro di Agrifood evidenzia i buoni risultati del settore agroalimentare italiano, anche grazie alla spinta di oltre 55.000 nuove aziende guidate da under 35, caratterizzate dalla propensione all’innovazione. Ma a emergere è anche la capacità del settore di fare sistema, nel rispetto delle differenze e delle tipicità. Altrettanto chiare e condivise però le criticità, come costo del lavoro, burocrazia per l’impiego, e assenza di manodopera.
Non ultima area di rischio, la tendenza comunitaria all’omologazione, direzione opposta rispetto alle tipicità che fanno dell’agroalimentare italiano un’eccellenza mondiale. L’auspicio comune è quello di ottenere, nell’ambito della distribuzione dei fondi previsti dall’Europa e dal PNRR, la giusta attenzione al settore, soprattutto nella direzione della sostenibilità e della digitalizzazione.

La capacità di interconnettere le filiere
“Forse per qualcuno è inatteso, ma lo scenario dell’agroalimentare italiano è molto positivo: i fondamentali sono robusti, pur nella vasta articolazione di modelli, competenze e specializzazioni che costituiscono la nostra ricchezza – spiega Lucio Fumagalli, presidente INSOR Istituto Nazionale di Sociologia Rurale -. Qui l’Italia sa fare sistema: dalla cultura del seme fino agli aspetti distributivi o di packaging, il settore dimostra la capacità di interconnettere le filiere”. Quanto al contributo dei giovani imprenditori alla ‘demarginalizzazione’ culturale dell’agroalimentare, attraverso le competenze apprese negli studi e applicate nell’attività aziendale i giovani hanno dato nuova dignità a un settore che da contadino è diventato a pieno diritto imprenditoriale.

È nel lavoro il nodo da superare

Il settore agroalimentare ha continuato a lavorare durante i lockdown consentendo l’approvvigionamento, mantenendo i livelli occupazionali e utilizzando molto poco gli ammortizzatori sociali.
“Ma è comunque nel lavoro il nodo da superare – afferma Luca Brondelli, membro della giunta esecutiva di Confagricoltura -. Il costo del lavoro è troppo alto in termini economici e di fatica burocratica. I centri per l’impiego non funzionano, le regole sono sempre più complesse e macchinose, la stessa legge sul caporalato prevede sanzioni pesanti alla minima svista. Inoltre, la pandemia ha ridotto l’accesso di lavoratori stranieri e il reddito di cittadinanza ha tagliato le gambe all’offerta di manodopera italiana”.

Il problema dell’italian sounding
Secondo Fabiano Porcu, direttore Coldiretti Cuneo, “l’omologazione è il vero nemico delle nostre eccellenze che trovano origine proprio nelle tipicità. In rapporto alla Francia –  aggiunge Porcu – siamo a 1.500 tipologie di nostri vini contro 150 delle loro. Dobbiamo lavorare per la sostenibilità delle nostre eccellenze. Ma occorre anche un po’ di reciprocità. Se la produzione agroalimentare in Italia è sottoposta a regole stringenti, come è giusto che sia, così deve essere anche negli altri Paesi dell’Unione Europea. Altrimenti avremo tanti altri casi Prosek. L’italian sounding – sostiene Porcu – è uno dei problemi. Il nostro export vale 52 miliardi di euro a fronte di 100 miliardi in prodotti che sembrano/suonano italiani, ma non lo sono”.

Industria 4.0, la transizione digitale delle imprese manifatturiere

Le grandi imprese e le Pmi italiane del settore manifatturiero conoscono le opportunità offerte dal Piano Nazionale Transizione 4.0, ma auspicano che venga affiancato da altre forme di incentivo per accompagnare la crescita del mercato. Nei prossimi sei mesi le esigenze più sentite dalle aziende sono gli sgravi fiscali per abbassare il costo del lavoro (55%) e gli incentivi per l’assunzione di personale (41%), mentre per i prossimi due anni le aziende chiedono soprattutto il rilancio di forme di iper e super ammortamento su beni strumentali (48%), e nuovi incentivi diversi da quelli attualmente in vigore per investimenti in beni immateriali (39%). È quanto emerge dall’Osservatorio Transizione Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano

La diffusione dello smart working

Nel 2020 il 37% delle aziende ha introdotto forme di flessibilità nella gestione degli orari di lavoro, un altro 37% di mansioni e postazioni di lavoro, un quinto nella gestione dei turni, il 28% utilizza strumenti per tracciare le competenze, e il 17% lascia libera scelta fra lavoro in presenza o in remoto.
Sono state poi remotizzate il 40% delle attività di formazione, controllo e audit della qualità e monitoraggio degli impianti, e i benefici sono stati evidenti. Sono aumentate flessibilità (67%) e tempestività di risposta ai problemi (55%), è migliorata la soddisfazione dei lavoratori (60%) e il work-life balance (62%), anche se in alcuni casi sono cresciuti lo stress e il carico di lavoro (16%).

Il vantaggio competitivo della sostenibilità

Le imprese manifatturiere sono sempre più consapevoli del vantaggio competitivo offerto dall’impegno per la sostenibilità. Il 15% ha già terminato progetti di sostenibilità nell’ambito delle operations, circa un terzo ne ha attivati alcuni e solo il 3% non è interessato. Il 43% lo ha fatto per anticipare le tendenze del mercato e rispondere alle richieste dei clienti, oltre un terzo per costruire l’immagine di un marchio sostenibile. Le principali barriere all’impiego del digitale per migliorare la sostenibilità sono la mancanza di cultura aziendale (37%), la mancanza di indicatori che colleghino la performance di sostenibilità al valore di un’azienda (30%) e la difficoltà a comprendere quali siano i benefici attesi (29%). 

I servizi 4.0 valgono circa 275 milioni di euro

Nel 2020 i servizi 4.0 hanno raggiunto un valore di circa 275 milioni di euro (+8%), spinti soprattutto dalla consulenza operativa, mentre la consulenza strategica continua a trovare poco spazio. Due terzi delle imprese già oggi è abituato a utilizzare beni strumentali e software a fronte di un canone mensile o annuale, ma le opportunità offerte dalla connessione dei macchinari sono ancora poco sfruttate dalle aziende. Solo un quarto degli intervistati usa servizi informativi associati a un macchinario, o servizi di manutenzione preventiva basati sulle condizioni della macchina, meno di uno su dieci utilizza servizi per una migliore gestione energetica delle macchine, e meno del 5% ha sviluppato soluzioni di manutenzione predittiva.

Italia seconda sola alla Germania nel riciclo degli imballaggi

Per una volta, l’Italia si conferma tra i più virtuosi dei Paesi dell’area Ue, arrivando a tallonare in performance anche l’efficientissima Germania. Stiamo parlando del tasso di riciclo degli imballaggi, che per quanto riguarda il nostro Paese nel 2020 ha raggiunto quote davvero ragguardevoli:  lo scorso anno è stato avviato a riciclo il 73% dei pack immessi sul mercato, 3,3 punti percentuali in più rispetto al 2019. E’ quanto emerge dalla relazione generale del Conai, il Consorzio Nazionale Imballaggi, che sottolinea come il risultato sia davvero un record, soprattutto se si considera che è stato ottenuto durante l’anno più difficile dell’emergenza sanitaria. Tra l’altro, una buona notizia è che tutte le aree del Paese hanno aumentato il conferimento dei loro rifiuti al sistema Conai, con tassi che vanno dal 5 al 6% dal Nord al Sud dello Stivale.

Seconda vita per 9 tonnellate di materiali

Complessivamente, sono state riciclate più di 9 milioni e mezzo di tonnellate di imballaggi sul totale delle 13 milioni immesse al consumo. Immesso che, ricorda una nota del Consorzio, “nel 2020 è calato di più del 4% rispetto al 2019 per il venir meno dei pack destinati ai settori commerciali e industriali. Ma grazie alla crescita della raccolta differenziata urbana, che ha fatto da traino e non è stata messa in crisi dalle difficoltà seguite al lockdown e alle restrizioni, le quantità riciclate non sono diminuite”. Grazie al riciclo, hanno potuto avere una seconda vita 371mila tonnellate di acciaio, 47mila e 400 di alluminio, 4 milioni e 48mila di carta, un milione e 873mila di legno, un milione e 76mila di plastica, 2 milioni e 143mila di vetro. Sommando ai numeri del riciclo quelli del recupero energetico, il totale di imballaggi sottratti alla discarica cresce e si avvicina all’84% (83,7%). Un totale di quasi 11 milioni di tonnellate. 

Già raggiunti gli obiettivi dell’Europa

L’Italia ha già raggiunto gli obiettivi di riciclo complessivi che l’Europa impone ai suoi Stati membri entro il 2025. Tra cinque anni, infatti, ogni Paese dovrà riciclare almeno il 65% degli imballaggi: con cinque anni di anticipo, quell’obiettivo è già superato di 8 punti percentuali. Anche tutti i singoli materiali di imballaggio hanno raggiunto le percentuali di riciclo richieste entro il 2025. Resta indietro solo la plastica, ma di meno di due punti percentuali: nel 2020 in Italia ne è stata riciclata il 48,7%, ma “raggiungere il 50% richiesto dall’Unione in cinque anni non rappresenta un problema. Oggi siamo secondi solo alla Germania in termini di quantitativi di imballaggi riciclati” dichiara il presidente del Conai Luca Ruini.

Vacanze italiane extralusso, è caccia agli immobili più esclusivi

Non è certo un segreto che l’Italia sia una delle destinazioni più appealing del mondo per le vacanze. Ora, però, c’è una novità che riguarda il comparto del real estate: i Paperoni di ogni angolo del Pianeta sognano di trascorrere i loro soggiorni estivi nel nostro Paese, ovviamente alloggiando in location di puro lusso. Ad affermare che questo trend sia in decisa crescita è Luxforsale, portale specializzato nella promozione di immobili di lusso, che ha pubblicato il suo nuovo Osservatorio immobiliare dedicato al settore.

400.000 euro al mese per una dimora da sogno

I dati emersi dalla ricerca sono davvero sorprendenti: si scopre ad esempio che cii sono locatori disposti a spendere anche 400.000 euro al mese pur di vivere una vacanza in dimore di assoluto lusso in Italia. Un segnale che evidenzia la straordinaria attrazione che ha il nostro paese nei confronti di clienti alto spendenti interessati ad affittare immobili di lusso per le vacanze estive. Quali sono quindi le “case” più desiderate ed esclusive? In particolare i castelli, tipologia di immobile difficile da trovare nel resto del mondo, ma resta intatto l’appeal delle più “semplici” ville. Ma non è solo la location a fare la differenza nella scelta da parte dei ricchi vacanzieri: questi richiedono anche dotazioni particolari, come ad esempio grandi metrature, un numero elevato di camere da letto e di bagni (per poter accontentare anche i collaboratori),  affacci spettacolari su lago e mare e plus come la presenza di campi da tennis ed eliporti all’interno della proprietà.

Un boom di richieste

“Le richieste si concentrano principalmente in città d’arte o in prossimità del mare o dei laghi. E’ la prima volta che registriamo un impennata così radicale di immobili di lusso in affitto, considerando che rispetto allo scorso anno il nostro portale rileva un incremento del 79%” ha detto Claudio Citzia Ceo di Luxfrosale.  Le regioni più ricercate sono Sardegna, Liguria, Lombardia, Toscana, Puglia e Sicilia e i potenziali locatari derivano da ogni parte del mondo. Oltre agli italiani, infatti, ci sono clienti provenienti da Stati Uniti, Svizzera, Russia e Germania. 

Nuove opportunità per i proprietari

La tendenza in atto è così decisa che ormai è partita la caccia all’immobile di lusso per trascorrervi le vacanze. Tanto che sta cambiando anche l’atteggiamento da parte dei proprietari di queste dimore da sogno: se fino a pochi anni fa erano decisamente restii ad affittare le loro spettacolari case, oggi le cifre sul tavolo rendono difficile il rimanere indifferenti.

Nel 2020 il reddito delle famiglie crolla del 2,8%

Nel 2020 il reddito delle famiglie è diminuito del 2,8%. Nonostante gli interventi di sostegno attivati dalle misure anti-crisi, il reddito primario degli italiani si è ridotto di circa 93 miliardi di euro, e la spesa per i consumi finali si è contratta del 10,9%, portando la propensione al risparmio al 15,8%. Quanto al potere d’acquisto, ovvero il reddito disponibile espresso in termini reali, è diminuito del 2,6%, interrompendo la dinamica positiva in atto dal 2014. Si tratta, insomma, della crisi più forte dal 2012. Lo ha reso noto l’Istat, che ha diffuso il report I conti nazionali per settore istituzionale.

Flessione della spesa per consumi finali a -10,9%

La consistente flessione della spesa per consumi finali delle famiglie (-10,9%) ha generato un deciso incremento della quota di reddito destinata al risparmio, che passa dall’8,2% del 2019 al 15,8% del 2020. L’impatto della crisi sull’attività produttiva ha comportato una riduzione di circa 93 miliardi di euro del reddito primario delle famiglie (-7,3%). I redditi da lavoro dipendente sono diminuiti di circa 50 miliardi di euro (-6,9%), mentre quelli derivanti dall’attività imprenditoriale si sono ridotti di poco più di 40 miliardi di euro (-12,2%). In particolare, dalle piccole imprese di loro proprietà, le famiglie hanno ricevuto 28,7 miliardi in meno di utili rispetto al 2019.

Gli interventi di redistribuzione ammontano a circa 61 miliardi di euro

Il reddito disponibile delle famiglie è stato tuttavia sostenuto dalle amministrazioni pubbliche attraverso diversi interventi di redistribuzione, per un totale di circa 61 miliardi di euro. Da una parte, si è assistito a una riduzione delle imposte correnti per circa 4,7 miliardi di euro (-2,2% rispetto al 2019), e dei contributi sociali per circa 15 miliardi di euro (-5,4%), di cui poco meno di 5 miliardi di euro a carico dei lavoratori dipendenti e autonomi, e il resto a carico dei datori di lavoro. Dall’altra parte, le prestazioni sociali sono aumentate di 37,6 miliardi di euro (+9,6%), principalmente per le misure di sostegno al reddito.

Ridotti gli investimenti in abitazioni per circa 5,5 miliardi

In particolare, sono aumentate di 13,7 miliardi di euro le risorse destinate alla copertura della cassa integrazione guadagni (Cig) e di 14 miliardi gli altri assegni e sussidi, che includono circa 8 miliardi per il sostegno al reddito dei lavoratori autonomi. A copertura delle perdite legate alla crisi, alle piccole imprese e ai lavoratori autonomi (famiglie produttrici) sono stati erogati contributi a fondo perduto per circa 3,5 miliardi di euro, registrati come trasferimenti in conto capitale. Le famiglie consumatrici, riporta Askanews, per la prima volta dal 2015 hanno ridotto gli investimenti in abitazioni per circa 5,5 miliardi di euro (-8,4%).