Aumentano gli animali domestici nelle case (e nelle vite) degli italiani

“La felicità è un cucciolo caldo”, dice Charlie Brown, il celebre personaggio dei fumetti. E gli italiani non potrebbero essere più d’accordo, visto che nelle loro case vivono milioni di pet. In occasione della Giornata Nazionale del Gatto, celebrata il 17 febbraio, Assalco Zoomark ha diffuso il suo rapporto 2023. Una fotografia che evidenzia che la cura degli animali domestici rimane una priorità per i nostri connazionali.

In meno di 10 anni è raddoppiato il numero di famiglie con almeno un animale

In particolare, il rapporto rivela che al 2015 al 2022 il numero di famiglie che accolgono più di un animale da compagnia è quasi raddoppiato, passando dal 9,9% al 17,2%. Nel 2023, oltre 65 milioni di animali, di cui 9 milioni di cani e 10 milioni di gatti, fanno parte delle famiglie italiane.

Nonostante le difficoltà economiche del 2022, i padroni continuano a prendersi cura dei loro cuccioli.

Il valore della relazione con gli animali d’affezione

Attualmente, oltre il 40% delle famiglie italiane ospita almeno un animale domestico, sottolineando il valore della relazione con gli animali d’affezione. Questi compagni pelosi contribuiscono a uno stile di vita attivo, alleviano lo stress e sono un prezioso antidoto contro la solitudine. In occasione della Giornata Nazionale del Gatto, Trovaprezzi.it ha esaminato il settore dei prodotti per animali domestici, evidenziando il loro crescente interesse online.

Boom delle ricerche online per far felici Micio e Fido 

Nel 2023, le ricerche su Trovaprezzi.it nel settore dei prodotti per animali domestici hanno raggiunto la cifra di quasi 6 milioni e 240 mila, registrando un aumento del 6% rispetto al 2022. Le ricerche si concentrano principalmente sugli alimenti (oltre 2 milioni e 900 mila) e sugli articoli veterinari (oltre 2 milioni e 450 mila), rappresentando l’86% del totale.

Le donne sono le più attive in fatto di navigazione e acquisti on line, e “firmano” il 56,5% delle ricerche totali, con una presenza predominante nella categoria alimenti (55,4%) e nell’abbigliamento (57,9%).

Chi sono i pet lovers?

La ricerca fornisce anche l’occasione per saperne di più sui proprietari di cani e gatti. Si scopre così che il 31,5% delle ricerche proviene dagli utenti tra i 25 e i 34 anni, seguiti dal 29,2% nella fascia 35-44 anni. Altre fasce d’età includono il 14,3% tra i 45-54 anni, l’11,1% tra gli 18-24 anni, il 9,7% tra i 55-64 anni e il 4,2% sopra i 65 anni.

Le regioni più attive nelle ricerche sono la Lombardia (28,7%), il Lazio (14,5%), l’Emilia-Romagna (8%), il Piemonte (7,2%), la Toscana e la Campania (6,5%). In conclusione, il report rivela un crescente coinvolgimento degli italiani nella cura e nell’affetto verso gli animali domestici, con un’attenzione particolare alle ricerche online, guidate principalmente dalle donne.

L’educazione finanziaria è una sfida generazionale. Che genera ansia

Dall’aggiornamento del 4° Rapporto Assogestioni-Censis emerge che per il 49,3% degli italiani occuparsi di risparmio e investimenti genera ansia e preoccupazione. E a soffrirne maggiormente sono giovani e over 65.
In particolare, il 50,7% dei rispondenti tra 18 e 34 anni e il 54,4% degli ultrasessantacinquenni, contro il 45,6% degli adulti (35-64 anni).

A scuotere i risparmiatori è stata principalmente la necessità, imposta dai cambiamenti dello scenario geoeconomico, di apportare modifiche alle proprie scelte finanziarie e ripensare i ‘porti sicuri’ del passato, come, ad esempio, la predilezione per la liquidità, che ora rischia di essere erosa dall’inflazione.
Di fatto, i continui shock socioeconomici che hanno caratterizzato gli ultimi mesi hanno avuto un impatto ansiogeno sulle famiglie. Anche in relazione alla gestione delle finanze personali.

Un quadro in continua evoluzione ma poche competenze per gestirlo

Un segnale del cambiamento intervenuto nel mercato del risparmio è arrivato dalla risalita dei tassi di interesse. Il 44,1% dei giovani, il 36,3% degli adulti e il 31,6% degli anziani afferma di essersi sentito personalmente penalizzato da questo fenomeno.

Il Censis stima che nel secondo trimestre 2023 il potere d’acquisto delle famiglie in termini reali abbia subito una riduzione dell’1,7% su base tendenziale. Il quadro in piena evoluzione richiede quindi competenze per gestire il cambiamento repentino. Competenze che spesso sono inadeguate e non consentono ai risparmiatori di prendere decisioni informate sulla gestione del denaro e sulla pianificazione del proprio futuro.

Conoscenze finanziarie di base alla prova

Lo studio ha indagato il livello di conoscenza dei risparmiatori riguardo l’effetto concreto dell’inflazione sui redditi. Alla domanda sulla variazione del potere di acquisto in presenza di prezzi e redditi raddoppiati, ha risposto in modo errato il 27,0% dei giovani, il 23,0% degli adulti e ben il 53,2% degli anziani.

Un’altra verifica delle conoscenze di base ha riguardato la differenza tra azioni e obbligazioni. In questo caso, la risposta sbagliata è stata data dal 13,0% dei 18-34enni, dal 10,2% dei 35-64enni e dal 12,2% degli over 65.
Ma il dato sintomatico arriva sommando a questi numeri quelli di coloro che non hanno saputo indicare una risposta. Ovvero, il 36,6%, il 24,7% e il 35,1%.

L’età influenza competenze e percezioni

Le conoscenze e la reattività variano in funzione dell’età dei risparmiatori, sottolineando la necessità urgente di promuovere una maggiore educazione finanziaria su larga scala, e allo stesso tempo, adottare approcci specifici per le diverse generazioni.
La diffusione di una maggiore alfabetizzazione finanziaria è un’esigenza sociale strutturale e permanente, che si è solo intensificata alla luce dei cambiamenti repentini del nostro tempo.

Gli over 65 sono la categoria meno propensa a riadattare l’utilizzo dei propri risparmi a fronte dell’evoluzione dello scenario. Hanno infatti ‘cambiato idea’ solo il 28,7% degli anziani, contro il 48,4% dei giovani e il 40,4% degli adulti. 

L’87% degli italiani ritiene di dedicare troppo tempo al lavoro

L’87% degli occupati in Italia ritiene di dedicare troppo tempo al lavoro, secondo le ultime ricerche discusse nell’incontro “Il senso del lavoro oggi” organizzato da Unioncamere e la Fondazione per la Sussidiarietà. Questo dato riflette una percezione diffusa tra gli italiani di un’eccessiva dedizione al lavoro. Inoltre, il 64,4% degli intervistati ritiene che il lavoro serva solo a guadagnare le risorse economiche necessarie per vivere, e questa percentuale sale al 69,7% nel caso dei giovani. Tale opinione suggerisce che una parte significativa della popolazione attiva vede il lavoro come un mezzo per soddisfare i bisogni economici di base, ma non necessariamente come parte integrante della propria identità o realizzazione personale.

I più giovani hanno un concetto diverso del lavoro

A livello globale, il 62% dei Millennials (nati tra il 1981 e il 1996) afferma che il lavoro è centrale per la propria identità, mentre tra i più giovani della Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012), solo il 49% condivide questa opinione. Ciò suggerisce che le generazioni più giovani potrebbero avere una prospettiva diversa sul significato e sull’importanza del lavoro nella loro vita.

“La persona al centro dell’impresa”

Durante l’incontro, sono stati discussi diversi argomenti relativi al mondo del lavoro in Italia. Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, ha sottolineato l’importanza di rimettere la persona al centro dell’impresa e dell’economia, contrastando sia il neo-liberismo che subordina il lavoro al profitto sia l’assistenzialismo che ne umilia il valore. Ha delineato quattro obiettivi principali per le politiche a sostegno del lavoro: l’incremento delle opportunità di lavoro, una maggiore accessibilità alle offerte di lavoro esistenti, il sostegno a chi è senza occupazione, e una distribuzione più equa ed efficiente del reddito.
Andrea Prete, presidente di Unioncamere, ha sottolineato il crescente divario tra domanda e offerta di lavoro in Italia, evidenziando la difficoltà delle imprese nel trovare le figure professionali richieste nel mercato del lavoro. Questo fenomeno ha assunto dimensioni preoccupanti, con il 66% delle imprese che adotta pratiche per trattenere i talenti in azienda.

Perchè si cerca un nuovo lavoro?

Le motivazioni principali che spingono le persone a cercare un nuovo lavoro includono la ricerca di un salario più elevato, una migliore conciliazione tra vita e lavoro, maggiori opportunità di carriera e sviluppo delle competenze, e la possibilità di lavorare in modo più flessibile, inclusa l’opportunità di effettuare lo smartworking.  Inoltre, la tecnologia ha un impatto significativo sul mondo professionale, modificando l’organizzazione, ampliando le forme di lavoro tramite piattaforme digitali e influenzando le competenze richieste ai dipendenti.

Buy Now Pay Later: ecco perchè questa formula piace agli italiani

La formula “Compra ora, paga dopo”, conosciuta come BNPL (Buy Now Pay Later), sta guadagnando sempre più popolarità tra gli italiani, registrando tassi di crescita molto superiori rispetto al tradizionale credito al consumo per piccoli acquisti. Questo trend è particolarmente evidente tra i Millennials e la Generazione Z, che rappresentano il 71% degli utenti BNPL, e oltre il 50% delle richieste riguarda importi inferiori a 500 euro.

Crescita annua a due cifre

Negli ultimi anni, il BNPL ha registrato un rapido aumento in tutto il mondo. In Italia, sebbene le carte di credito siano ancora il metodo di pagamento online più diffuso, soprattutto per transazioni di valore elevato, il BNPL mostra una crescita annua a due cifre. Nel 2022, i prodotti BNPL erogati nel nostro Paese hanno segnato un aumento significativo del 47%, in accelerazione rispetto al +35% del 2021. Questo supera ampiamente la crescita del credito al consumo small ticket tradizionale, che ha segnato un +13% nel 2021 e solo un +5% nel 2022.

Una scelta diffusa per gli acquisti fino a 500 euro

Un’analisi condotta da CRIF, basata su un vasto ecosistema di dati creditizi con oltre 90 milioni di posizioni, ha rivelato queste tendenze significative. Il BNPL è diventato una scelta comune per gli acquisti online e in numerosi negozi fisici, soprattutto per acquisti di importo contenuto e inferiori ai 500 euro, grazie alle nuove abitudini di acquisto degli italiani sempre più orientate verso l’e-commerce e le nuove tecnologie finanziarie. L’analisi di CRIF ha anche evidenziato una stagionalità più marcata nel BNPL rispetto al credito al consumo tradizionale, con erogazioni più elevate nel secondo semestre, particolarmente durante il periodo natalizio. Inoltre, il BNPL sta trovando applicazione in settori non tradizionalmente legati al retail, come il settore dei viaggi, delle assicurazioni e delle transazioni commerciali tra imprese.
Il ticket medio del BNPL è notevolmente inferiore rispetto a quello del credito al consumo tradizionale, con oltre il 50% delle richieste inferiori a 500 euro. Questo dimostra che il BNPL è visto più come un metodo di pagamento che come una forma di finanziamento.

Millennials e GenZ i principali fruitori

Riguardo al profilo degli utenti BNPL, i Millennials e la Generazione Z rappresentano la maggioranza, con il 71% del totale. Queste generazioni sono cresciute con l’e-commerce e sono naturalmente inclini ad adottare nuovi metodi di pagamento. Interessante è anche il fatto che il BNPL mostri un tasso medio di insolvenza in calo del -30% nel 2022 rispetto al 2021, contrariamente al credito al consumo small ticket, suggerendo che il BNPL è preferito da una clientela a basso rischio creditizio che lo utilizza come un’opzione di pagamento flessibile anziché come una forma di credito.

Cosa cambia con le nuove direttive UE

Infine, l’entrata in vigore di nuove direttive europee sul credito al consumo potrebbe portare a cambiamenti significativi nel settore BNPL, con regolamentazioni più rigorose e una maggiore tutela dei consumatori, garantendo una maggiore trasparenza e responsabilità nell’offerta di opzioni di pagamento flessibili.

Italiani al volante: i milanesi sono i più multati 

Milano, con 151 milioni di euro di multe, Roma (133 milioni) e Firenze (46 milioni) sono i comuni che nel 2022 hanno incassato i maggiori proventi derivanti da sanzioni legate all’accertamento delle violazioni al Codice della Strada. Emerge dall’analisi congiunta Facile.it-Assicurazione.it, realizzata esaminando i rendiconti dei proventi delle violazioni del Codice della Strada pubblicati dalle città capoluogo di provincia italiane.
Nel 2022, considerando solo le 102 città capoluogo di provincia che hanno pubblicato i dati relativi ai proventi legati alle contravvenzioni stradali, l’importo complessivo supera 793 milioni di euro.

Anche a Bologna e Firenze fioccano le contravvenzioni

Di fatto, i guidatori più multati d’Italia sono i milanesi. Considerando che dai dati ufficiali Aci fanno capo a Milano oltre 870.000 veicoli tra auto e moto, nel 2022 la spesa pro capite per multe legate alle violazioni è stata di 174 euro. Seguono i conducenti fiorentini, che in media nel 2022 hanno pagato contravvenzioni di importo pari a 170 euro, i bolognesi (163 euro), i pavesi (129 euro), e gli abitanti di Siena (128 euro). Le città capoluogo di provincia che incassano meno proventi dalle multe stradali, sono Carbonia, che lo scorso anno ha incassato appena 120 mila euro, Enna (131 mila euro) e Agrigento (135 mila euro).

I più virtuosi? Risiedono a Latina, Agrigento e Aosta

Rapportando le somme incassate con il numero di autovetture e motocicli iscritti nei registri della motorizzazione, emerge che i conducenti meno multati nel 2022 sono stati quelli di Latina, che in media hanno speso a testa 2,2 euro. Seguono i guidatori di Agrigento, con una spesa pro capite pari a 2,5 euro, e quelli di Aosta, dove la ‘multa media’ è stata di 4,1 euro.
Quanto ai proventi derivanti da violazioni dei limiti massimi di velocità, tra le città capoluogo di provincia quella con i maggiori incassi è Firenze (23 milioni di euro nel 2022). Milano slitta al secondo posto (13 milioni), mentre al terzo si classifica Genova (poco meno di 11 milioni), e Roma è quarta, con poco più di 6 milioni di euro.

Violazioni dei limiti di velocità: sanzioni per 117 milioni di euro

Complessivamente, le 102 città capoluogo di provincia analizzate nel 2022 hanno incassato 117 milioni di euro provenienti da violazioni dei limiti massimi di velocità. Rapportando i proventi con il numero di automobili e motocicli iscritti nei registri della motorizzazione emerge che i guidatori più multati per eccesso di velocità in Italia sono i fiorentini, che nel 2022 hanno speso, in media, quasi 85 euro per questo tipo di sanzione. Al secondo posto si posizionano i conducenti grossetani, con una spesa pro capite di 78 euro, mentre in terza posizione si classificano i guidatori di Rieti (54 euro).

Intrattenimento: tornare a leggere a discapito dello streaming

Secondo un’indagine a cura della società di ricerche di mercato Hubits Lab, l’88% dei nostri connazionali ama guardare la tv in streaming, l’86 % sceglie i libri, cartacei o nelle forme elettroniche, il 78% ascolta musica in streaming, il 75% si dedica al gaming e il 75% sceglie cinema, teatro o concerti. Sono queste le preferenze relative all’intrattenimento nel tempo libero degli italiani, che appunto guardano la tv in streaming, giocano sulle piattaforme online o con lo smartphone, ascoltano musica online, e leggono. Infatti, tra le forme di intrattenimento emergenti, nell’ultimo anno sono infatti i libri a crescere di più.

Le spese più performanti sono dedicate ai libri

“Le spese più performanti nel campo dell’intrattenimento sono ora dedicate ai libri”, spiega Pamela Saiu, responsabile Mondadori Media-Hubits.
In particolare, “il 74% degli italiani nel 2022 ha comprato almeno un libro. Il 62% ha scelto il cartaceo, il 18% l’e-book, il 15% fumetti/manga o graphic novel, il 10% un audiolibro e il 7% i podcast”, continua Saiu. Inoltre, il 45% degli intervistati ha comprato da 1 a 3 libri, il 32% da 4 a 11 libri e l’1% ne ha scelto uno.
“Il libro cartaceo è sicuramente la categoria preferita da regalare, seguita quasi a pari merito dagli strumenti fisici per musica e video come CD, vinili, Dvd e Blu Ray”, sottolinea Saiu. Ma sono i fumetti tra i fenomeni emergenti più importanti.

Le piattaforme sono troppe e calano gli abbonati

Quanto ai video, “il 60% degli italiani ha visto film o serie tv tramite abbonamenti, oppure on demand in streaming o comprando un DVD o Blue-Ray – precisa Saiu. – Hanno comprato abbonamenti a piattaforme musicali, come ad esempio Spotify, un vinile, un CD o una musicassetta, il 46% dei soggetti intervistati. Mentre hanno aperto il portafoglio per il gaming il 38% del campione: il 21% ha comprato videogiochi per console, il 15% delle App per giocare al telefonino, l’11% per giochi online per PC”. 
Sul fronte degli abbonamenti in streaming, si evidenzia una sorta di stanchezza da parte del pubblico. Ora le piattaforme sono perfino troppe, e i clienti non hanno ben chiaro per quanto tempo le pellicole resteranno nelle sale per poi entrare nei circuiti in streaming. Con l’aumentare dell’offerta in streaming si assiste perciò a un calo complessivo degli abbonati.

Musica, gaming o cinema e teatro?

Per evitare di pagare cifre elevate nel segmento piattaforme tv si assiste anche all’incremento di abbonamenti in condivisione tra famiglie e amici, e nuove forme di abbonamenti ibridi ‘calmierati’ con presenza di spot pubblicitari, quindi a costi inferiori. In ogni caso,  riporta Ansa, l’ascolto della musica e l’abitudine al gaming crescono entrambe del 25% nell’ultimo anno, così come andare a cinema/concerti/teatro.
“Andiamo di meno al cinema rispetto al periodo pre-Covid anche a causa del calo delle grosse produzioni che necessitano organizzazioni imponenti e che hanno fermato a lungo le riprese – sottolinea Marco Cino, managing director dell’agenzia Echo -. Ci aspettiamo però un recupero del segmento cinema, vista l’uscita recente di film importanti”. 

Quali sono le 10 città italiane dove ci si sposa di più nel 2023?

Il 2023 sarà un anno molto positivo per i matrimoni, in cui è previsto un aumento del 5% rispetto al 2019, l’ultimo anno di ‘normale attività’ del settore prima della pandemia. Ogni città italiana, quindi, si sta preparando a ospitare un elevato numero di celebrazioni. La stagione nuziale è infatti alle porte, e le coppie italiane sono alle prese con l’organizzazione e la definizione degli ultimi dettagli per rendere indimenticabile il loro grande Sì. Per questa occasione, Matrimonio.com, portale del settore nuziale in Italia e parte del gruppo The Knot Worldwide, ha stilato la classifica delle città italiane che si preparano a celebrare più nozze nel 2023. Quali sono dunque le città italiane in cui si respirerà più aria di fiori d’arancio? 

Sul podio Napoli, Roma e Milano

Secondo la Top 10 basata sulle coppie iscritte a Matrimonio.com la vetta spetta a Napoli, con il 7,9% di matrimoni previsti nel 2023, seguita sul podio da Roma (7,3%) e Milano (4,4%).
Al 4° posto si posiziona Palermo (3,4%), a cui seguono Bari (3,3%), Torino (3,1%) e Catania (2,6%). All’8° un’altra città del Sud, questa volta campana, Salerno (2,3%), così come la città al 9° posto, Caserta (1,9%). Chiude la classifica la lombarda Brescia (1,8%). Seguono altre importanti città come Bergamo (1,7%), Lecce (1,6%), Firenze (1,5%) e Verona (1,4%).

I mesi e i giorni più gettonati per dire sì

L’estate rimane, senza dubbio, la stagione preferita dalle coppie italiane per sposarsi. Ecco che infatti nella Top 5 dei mesi preferiti per le nozze di quest’anno le coppie eleggono giugno (24,8%), poi settembre (24,5%), luglio (14,9%), maggio (13,4%) e agosto (7,7%). Quanto ai giorni più gettonati dagli sposi di Matrimonio.com, sono in particolare il 9 settembre (3,7%), il 24 giugno (3,7%), il 2 settembre (3.5%) il 10 giugno (3,4%) e il 3 giugno (3,2%). Tutte date che cadono il sabato.

Un riferimento del settore nuziale

Matrimonio.com è un portale parte del gruppo di riferimento del settore nuziale, The Knot Worldwide, pensato per aiutare gli sposi a organizzare il giorno più felice della loro vita. Grazie alla sua presenza internazionale ha creato la community nuziale e il mercato virtuale di nozze su Internet più grandi a livello mondiale. Dispone di un database con oltre 700.000 professionisti del settore nuziale, e offre alle coppie strumenti per preparare la lista di invitati, gestire il budget, trovare fornitori, e tanto altro ancora.

Inquinamento: entro metà secolo il 50% della popolazione sarà allergica

“Attualmente, secondo l’Accademia Europea di Allergologia e Immunologia Clinica (EAACI), sono 100 milioni i cittadini europei che soffrono di rinite allergica e 70 milioni di asma – spiega Lorenzo Cecchi, Presidente AAIITO, Associazione Allergologi e Immunologi Territoriali e Ospedalieri – due malattie spesso associate, tanto che possiamo affermare che oltre il 90% degli asmatici ha anche la rinite e metà delle persone che hanno la rinite ha l’asma”.
Di fatto, entro la metà del secolo oltre il 50% della popolazione sarà allergica, e nello scenario futuro non si profilano miglioramenti. Poiché le allergie respiratorie sono provocate da allergeni che entrano in contatto con l’organismo attraverso l’aria respirata, la correlazione tra inquinamento atmosferico/smog e aumento delle patologie allergiche è immediata.

La sinergia dannosa tra inquinanti, pollini e allergeni

“Ciò è dovuto alla sinergia dannosa tra inquinanti, pollini e allergeni – continua Cecchi -. Gli inquinanti, da un lato, danneggiano la mucosa e facilitano la maggiore penetrazione dei pollini, e dall’altro, aumentano l’allergenicità degli stessi”.
A questo si aggiungono gli effetti dei cambiamenti climatici, in particolare l’aumento della temperatura, che anticipa le stagioni di fioritura delle piante e prolunga quella delle graminacee e della parietaria. L’inquinamento, inoltre, contribuisce al danneggiamento della cosiddetta ‘barriera epiteliale’. “Un muro – aggiunge Cecchi – dove al di sotto si trova il sistema immunitario, come se fosse uno scudo che filtra ciò che arriva dall’esterno, limitando il numero di sostanze che entrano in contatto col sistema immunitario”.

Il danneggiamento della barriera epiteliale

Le circa 350.000 sostanze che l’uomo ha introdotto nell’ambiente negli ultimi 60-70 anni provocano la sconnessione della barriera epiteliale e la conseguente penetrazione di allergeni, sostanze inquinanti, irritanti e microorganismi. Il danneggiamento della barriera epiteliale provoca e alimenta l’infiammazione, fonte di malattie allergiche e altre malattie croniche.
“Nonostante sia indiscutibile la predisposizione genetica alle allergie respiratorie è possibile anche affermare – sottolinea Cecchi – che si può diventare allergici. È la cosiddetta ipotesi igienica, secondo cui le persone in contatto con gli agenti patogeni hanno meno probabilità di essere allergiche, come ampiamente studiato nei bambini che nascono in contesti rurali rispetto ai loro coetanei che vivono in città”.

Batteri e sistema immunitario: un equilibrio realizzato in milioni di anni

“In pratica nell’ambiente rurale si mantiene maggiormente l’equilibrio tra i batteri dell’ambiente e il nostro sistema immunitario, equilibrio che si è realizzato in milioni di anni di convivenza. Questo spiega perché nel mondo occidentale ci sono più malattie allergiche rispetto ad altri Paesi meno sviluppati”, spiega il medico.
Attenzione, riporta Askanews, anche agli allergeni indoor, come acari della polvere e forfora degli animali da compagnia. In questo caso, chi è allergico dovrebbe utilizzare fodere anti-acari per materassi e cuscini, lavare gli animali una volta alla settimana e tenerli lontano da divani, mobili imbottiti, e camere da letto.

Investire negli immobili: quali sono le città italiane a maggior rendimento?

Quali sono le città italiane dove gli immobili ‘rendono d più’? Secondo i dati relativi alle quotazioni immobiliari di Wikicasa, Messina (10,62%), Catania (8,64%) e Palermo (7,02%). Sono queste le città in cui gli immobili presentano il rendimento più elevato, mentre per quanto riguarda i grandi centri urbani Roma registra il dato più basso (5,28%), inferiore di Milano (5,52%) e Bologna (6,14%), e chiudono la classifica Firenze (4,80%), Venezia (4,71%) e Salerno (3,98%). Uno dei fenomeni più in voga nel settore degli investimenti immobiliari è infatti quello di comprare un immobile per ottenere un guadagno rimettendolo sul mercato in affitto, il cosiddetto buy-to-rent.

L’inflazione e il buy-to-rent

Per investire con efficacia nell’acquisto di un immobile da affittare è fondamentale valutarne il rendimento, ovvero, la relazione tra il prezzo medio di un anno di affitto e il prezzo medio di vendita. Più il rendimento è alto, minore è il tempo con cui l’investitore recupererà l’investimento iniziale.
Il buy-to-rent è un investimento che non viene influenzato dall’aumento dell’inflazione. La maggioranza dei canoni di locazione, infatti, può variare in base all’aumento del costo della vita per indicizzazione contrattuale. Il prezzo medio di un immobile in affitto, di conseguenza, è molto più sensibile all’inflazione, al contrario del prezzo medio di vendita, meno dinamico di fronte a questo fenomeno.

Studenti e giovani lavoratori scelgono Milano e Bologna

L’unico modo in cui l’inflazione può influenzare nel breve termine il prezzo medio di vendita di un immobile è legato all’effetto di questa sui costi di costruzione, quindi è riconducibile solo a immobili nuovi, che costituiscono solo una parte marginale dello stock immobiliare residenziale.
Al momento, le città italiane con il mercato degli affitti più florido, dovuto a una maggiore presenza di studenti e giovani lavoratori rispetto alle altre grandi città sono Milano e Bologna. Gli elevati volumi del mercato della domanda per soluzioni abitative in affitto a lungo termine ha influenzato il mercato dell’offerta, portando il prezzo medio di affitto a crescere in modo più che proporzionale rispetto al prezzo medio di vendita. Questa dinamica ha permesso quindi al rendimento di crescere di più del 10% in entrambe le città rispetto all’anno precedente, il miglior risultato tra i centri presi in esame.

Il turismo influenza gli affitti a Firenze e Venezia

A Firenze e Venezia il mercato presenta una forte disparità tra centro e periferia, dovuta all’influenza della componente turistica sulla domanda di mercato. Nel centro di queste città lo stock immobiliare residenziale, generalmente composto da immobili storici, presenta una carenza di soluzioni in locazione a lungo termine. Per questo, la maggioranza della domanda e dell’offerta di annunci in affitto con finalità abitativa si concentra in periferia, con canoni mensili medi più bassi, causando una contrazione della redditività media complessiva. L’indice di rendimento risulta essere perciò solo parzialmente in grado di definire la natura del mercato immobiliare di una singola città, poiché spesso viene influenzato da fattori legati ad alcune caratteristiche di domanda e offerta della singola zona.

In Italia il mercato della Smart Home vale 770 milioni di euro

Gli italiani sono fan della Smart Home, tanto che oggi il tasso di crescita di questo settore posiziona il Belpaese al primo posto fra gli stati europei. E’ uno dei dati contenuti nella ricerca sulla Smart Home dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano.

I numeri Smart in Italia

Nel 2022 questo comparto, nel nostro paese, segna una crescita del +18% rispetto al 2021, raggiungendo quota 770 milioni di euro. Un tasso di crescita più alto di quella degli altri Paesi europei, superiore a quello registrato in Spagna (+10%, 530 milioni di euro), Regno Unito (4 miliardi di euro, +4,1%) e Francia (1,3 miliardi, +2%), mentre è in calo la Germania (-5%, 3,7 miliardi). Se la crescita percentuale pone l’Italia in cima alla classifica dei Paesi europei, lo stesso non si può dire guardando alla spesa pro capite, pari a “soli” 13 €/abitante. L’Italia rimane ben distante da USA (59,6 €/abitante), Regno Unito (61,6 €/abitante) e Germania (44,5 €/abitante), mentre si avvicina alla Francia (19,5€/abitante).

Il “peso” della mancanza di materie prime  

L’espansione del mercato avrebbe potuto essere ancora più elevata (+33%) senza la carenza di semiconduttori e di materie prime dovuta all’instabilità economica e politica internazionale. Il mercato italiano è guidato da caldaie, termostati e condizionatori connessi per riscaldamento e climatizzazione (155 milioni di euro), seguito da soluzioni per la sicurezza (150 milioni di euro), elettrodomestici connessi (140 milioni) e da smart speaker (137 milioni), oltre a lampadine, casse audio, smart plug, serie civili e dispositivi per gestire tende e tapparelle da remoto.

L’attenzione al risparmio energetico

Il rincaro del costo dell’energia ha spinto gli italiani a porre maggiore attenzione al risparmio energetico: il 91% è attento a risparmiare all’interno della propria abitazione. E l’utilizzo dei dispositivi di Smart Home potrebbe contribuire a ridurre i consumi energetici annuali di ben il 23% per il riscaldamento, del 20% per la componente elettrica. Un risparmio che vale circa 330 euro l’anno per un bilocale di 70 mq, fino a 460 euro per un trilocale di 110 mq. Tuttavia, tra i consumatori, il nesso tra “risparmio energetico” e “tecnologia smart” non è ancora ampiamente noto: gran parte degli italiani, per risparmiare energia, adotta comportamenti virtuosi (81%) o acquista dispositivi ed elettrodomestici che consumano meno (42%), mentre sono ancora pochi quelli che sfruttano gli oggetti smart per il monitoraggio dei consumi in tempo reale (17%), che gestiscono tramite scenari riscaldamento e raffrescamento (11%), ancora meno quelli che gestiscono sistemi di accumulo e autoproduzione da fonti rinnovabili (4%) o attivano servizi per ottimizzare i consumi (2%).