Universo e-commerce, un mosaico di piattaforme e opportunità 

Il panorama dell’e-commerce si sta trasformando a una velocità senza precedenti e risulta più frammentato che mai, con una varietà sempre più ampia di opzioni di acquisto. Secondo la ricerca NielsenIQ, prima del Covid le vendite medie settimanali e-commerce di largo consumo ammontavano a circa 11 milioni di euro, mentre nel 2021 questo valore si attesta a 34 milioni di euro. E in Italia in due anni gli acquisti online hanno quasi triplicato la quota di mercato, passando dallo 0,9% nel 2019 al 2,6% nel 2021. La rivoluzione online nel largo consumo, che prima si aggirava a una quota dell’1-2%, sta diventando sempre più importante in categorie come cibo e bevande, cura della casa e prodotti di bellezza.  Inoltre, per rispondere alle esigenze degli acquirenti, i retailer fisici hanno ampliato la propria impronta e-commerce, offrendo varie opzioni ai clienti, dal click-and-collect al ritiro tramite drive-thru alla consegna a domicilio.

Le vendite online superano quelle fisiche

La concorrenza è in forte espansione: i generalisti, come Amazon e Ocado, e gli specialisti di categoria, come Zooplus, agiscono come attori puri, mentre i brand lavorano spesso in modo indipendente con l’on-demand, il direct-to-consumer (B2C), i marketplace online, le piattaforme social e altro. Questo perché le vendite online stanno rapidamente superando quelle fisiche in paesi come il Regno Unito, l’Italia, la Spagna e i Paesi Bassi, rendendo necessario per i player del largo consumo analizzare attentamente i trend emergenti, i nuovi modi di fare acquisti e i nuovi competitor.
Ogni produttore, retailer e brand, deve comprendere in che modo capitalizzare le opportunità di vendita in continua evoluzione e sempre più complesse.

Come prosperare in un mercato frammentato e competitivo  

Gli attori più piccoli e più maturi dovrebbero seguire alcuni consigli se vogliono sopravvivere e prosperare in un mercato frammentato e altamente competitivo. Innanzitutto, utilizzare i dati più accurati e integrati per misurare e prevedere le opportunità future. Poi, osservare il quadro completo per individuare le migliori opportunità online, identificare i concorrenti emergenti e le potenziali acquisizioni. Terzo consiglio, identificare quale canale offre il maggior potenziale per i propri prodotti, attuali e futuri. Anche se non esiste un approccio unico all’interno dell’e-commerce, i produttori dovrebbero identificare quali piattaforme sono più promettenti per la loro categoria o dimensione. 

L’ottimizzazione del marketing online tra le piattaforme

Una volta posizionati sugli scaffali digitali, i brand dovranno stabilire le priorità e attivare le promozioni in modo intelligente per fare la differenza in quanto brand.  Mentre il panorama dell’e-commerce continua a evolversi a una velocità mai vista prima, una cosa è certa: il canale offre un enorme potenziale di crescita per i retailer, e i produttori disposti a comprendere gli sviluppi del mercato saranno in grado di individuare le opportunità future e riusciranno a trovare le formule giuste per il successo.  

Perché gli italiani si affidano agli influencer?

Per divertirsi, sfuggire per un po’ dalla realtà, ma anche per imparare qualcosa di nuovo e pure per combattere la solitudine: sono questi, in estrema sintesi, i motivi che spingono gli italiani ad affidarsi a social media ed influencer. Questo quadro, per certi versi un po’ malinconico e sicuramente figlio dei periodi di lockdown, emerge da un’analisi condotta da Kaspersky a livello globale.

Una scelta per compensare la mancanza di socialità

I lockdown e le limitazioni alla normale vita quotidiana hanno indotto molti nostri connazionali a trovare compagnia sui social. Così in tanti hanno deciso di trovarsi degli amici virtuali. Come spiega lo studio, si tratta di una relazione, definita “unilaterale”, in grado di influenzare in vari modi la vita delle persone: quasi la metà degli intervistati italiani (48%), infatti, ha affermato di imparare nuove cose dagli influencer che segue in aree come salute, hobby, lifestyle e notizie. Il 13% afferma di essere addirittura “dipendente” dai contenuti degli influencer mentre solo il 4% dichiara di provare un senso di “vuoto” quando non interagisce con il proprio influencer preferito. Il 19% degli italiani ritiene di sentirsi “amico” degli influencer che segue e circa il 26% invia messaggi privati ai personaggi che segue sui social. Nonostante la natura in gran parte virtuale di queste relazioni, il 28% degli utenti italiani di social media ha affermato di aver incontrato alcuni influencer anche nella vita reale. La relazione si mantiene viva commentando i post (37%) o attraverso le reazioni a post e stories (33%).

Una finestra sul mondo

Per tantissimi italiani, poi, i social network sono stati compagni fondamentali durante i lunghi mesi della pandemia, in particolare quelli più duri. Nelle settimane di lockdown, che ci hanno visto tutti costretti a un forzato isolamento domestico, i social sono stati una sorta di boccata d’aria, una finestra sul mondo. Tanto che il 63% degli intervistati ha dichiarato che i social media hanno costituito per loro una “connessione vitale” in questo periodo difficile. Solo il 39% degli italiani ha affermato di essere diventato, proprio in questo periodo, meno tollerante nei confronti delle persone incontrate sui social media. La percentuale di quelli che si sono affidati ai social media per mantenere una connessione con il resto del mondo aumenta se guardiamo ai giovani di età compresa tra 18 e 34 anni con il 74%. E nel resto d’Europa? Le risposte non sono molto dissimili dalle nostre. In  particolare i tedeschi (66%) e gli spagnoli (62%) seguono le nostre orme, dichiarando anch’essi di essersi sentiti connessi con il resto del mondo proprio grazie ai social.

Facebook e Instagram i social preferiti dalle Pmi italiane

Secondo l’Osservatorio Piccole Imprese di GoDaddy il 62% delle piccole imprese italiane possiede un sito web, di queste il 71% svolge attività di marketing e promozione attraverso il proprio sito o i propri canali social media. Tra questi ultimi il più utilizzato è Facebook (86%), seguito da Instagram (58%). Lo studio, condotto dalla società di ricerca Kantar, ha preso in esame circa 5.100 Pmi con un numero di dipendenti compreso tra 1 e 49, equamente distribuite in Italia, Germania, Francia e Spagna, con un focus particolare sulle strategie di marketing adottate dalle piccole imprese in quest’ultimo anno. Il Covid-19 ha infatti spinto le piccole imprese, non solo italiane, a implementare nuove strategie e strumenti di marketing per soddisfare le esigenze dei propri clienti.

WhatsApp è il canale preferenziale per rimanere in contatto con i clienti 

Dallo studio emerge che Instagram è più utilizzato dalle Pmi italiane (48%) rispetto alle aziende francesi (43%) e tedesche (50%). Il 36% delle piccole imprese utilizza anche LinkedIn per attività di promozione e visibilità, mentre solo il 18% usa Twitter per attività marketing, contro il record della Spagna con il 31%. L’Osservatorio evidenzia inoltre l’evoluzione del ruolo strategico di WhatsApp durante e dopo la pandemia: il 54% delle piccole imprese italiane e spagnole lo ha infatti utilizzato come canale preferenziale per rimanere in contatto con i propri clienti, contro il 36% delle imprese tedesche e il 14% di quelle francesi. 

La promozione digitale avviene sui social

A beneficiare di WhatsApp sono state soprattutto le imprese di piccole dimensioni (da 1 a 9 dipendenti), principalmente piccoli ristoranti, negozi al dettaglio, artigiani e aziende ortofrutticole a conduzione familiare. In ogni caso, le Pmi prediligono canali di promozioni digitale per le proprie attività di marketing (48%) rispetto a quelle offline (40%), con un 27% che predilige una forma ibrida. Tra le attività di promozione digitale si tratta principalmente di pubblicità sui canali social (33%), promozione di video online (12%) o banner pubblicitari (12%). Ancora esigua però la percentuale che sperimenta nuove attività di marketing digitale, come influencer marketing (7%) e podcast (2%).

Per il 95% delle piccole imprese avere un sito web incrementa la visibilità

Il 95% delle piccole imprese italiane che ha un sito web lo considera uno strumento importante per incrementare la propria visibilità nei confronti del mercato, mentre tra coloro che ancora non possiedono un sito web, il 15% dichiara di non averlo per via dei costi di gestione, riporta Askanews. Il 24% delle piccole imprese italiane poi utilizza strumenti di automazione per promuovere i propri prodotti, rispetto al 16% di Francia e Germania. Di queste, il 53% utilizza strumenti di email marketing per rimanere in contatto con i propri clienti e inviare loro offerte e promozioni. Tra gli strumenti promozionali offline i più utilizzati sono i volantini (18%), seguiti da eventi (15%), e pubblicità su stampa (14%). Solo il 5% ha dichiarato di fare pubblicità in TV.

Lo smart working spinge Facebook Workplace: +40% di utenti in un anno

Il software di comunicazione aziendale Workplace di Facebook ha raggiunto 7 milioni di utenti a pagamento: si tratta di un aumento del 40% rispetto ai 5 milioni rilevati a maggio dello scorso anno. Lo ha annunciato recentemente Facebook in un comunicato. Secondo Mark Zuckerberg il risultato si deve in gran parte alla diffusone massiccia dello smart working in tutto il mondo. La piattaforma Facebook Workplace è una sorta di mix tra social network e software gestionale, e oltre a essere utile per organizzare il lavoro dei team, aiuta anche a seguire l’andamento dei progetti delle aziende.

Da versione interna del social network all’estensione anche ad aziende esterne

Facebook Workplace è stato lanciato nel 2016, e a oggi annovera tra i suoi clienti aziende come Spotify e Starbucks.

“Abbiamo creato Workplace come versione interna di Facebook per gestire la nostra azienda, ed è stato così utile che abbiamo pensato di estenderlo anche ad altre organizzazioni”, ha affermato il ceo della piattaforma, Mark Zuckerberg. In occasione dell’annuncio, Facebook ha anche rivelato una serie di nuove funzionalità, volte a migliorare la collaborazione digitale nell’era dello smart working. Tra queste rientrano i box di domande e risposte in tempo reale e l’integrazione di plug-in di terze parti.

Ma Teams di Microsoft cresce di più

Nonostante l’ascesa, che secondo Zuckerberg è dovuta in gran parte al boom del lavoro da remoto in tutto il mondo, Facebook Workplace resta ancora indietro rispetto al suo maggior rivale, Teams di Microsoft. Il mese scorso, infatti, Microsoft ha annunciato che Teams conta più di 145 milioni di utenti attivi giornalieri, in crescita di oltre il 93% rispetto ai 75 milioni dell’aprile 2020, riporta Ansa.

Quanto rende Workplace a Facebook?

Facebook non ha spiegato quanto Workplace contribuisca alle proprie entrate economiche, dato che il servizio viene conteggiato insieme ai ricavi dei dispositivi delle gamme Oculus e Portal, sotto l’etichetta “altro” nei risultati finanziari. Ma quanto costa usare Workplace? In termini di prezzo, il livello Advanced di Workplace costa 4 dollari per utente al mese, mentre il livello Enterprise ha un costo di 8 dollari per utente al mese. Teams invece offre una versione gratuita con funzionalità limitate, una versione di base che costa 5 dollari per utente al mese, una versione standard al prezzo di 12,50 dollari per utente al mese e una versione aziendale a 20 dollari per utente al mese, spiega Benzinga Italia.

A dicembre 2020 le vendite calano, l’online vola

Nel 2020 sul commercio in Italia l’effetto Covid-19 si fa sentire: l’anno scorso le vendite al dettaglio, fortemente influenzate dall’emergenza sanitaria, hanno registrato una flessione annua del 5,4%, con una forte eterogeneità dei risultati sia per settore merceologico sia per forma distributiva. Il comparto non alimentare ha subito “una pesante caduta, anche a causa delle chiusure degli esercizi disposte per fronteggiare l’emergenza sanitaria, mentre il settore alimentare ha segnato un risultato positivo”, commenta l’Istat. In forte controtendenza, secondo i dati Istat, il commercio elettronico, con gli acquisti online balzati del 34,6% su base annua.

Controtendenza per il commercio elettronico, in forte aumento

Durante il 2020 hanno registrato un marcato calo delle vendite sia le imprese operanti su piccole superfici (-10,1%), sia le vendite al di fuori dei negozi (-13,9%). E la grande distribuzione (-2,8%) ha risentito negativamente dall’andamento del comparto non alimentare, riporta Askanews. Anche rispetto a dicembre 2019 il valore delle vendite al dettaglio diminuisce sia per la grande distribuzione (-2,5%) sia per le imprese operanti su piccole superfici (-6,6%). E se le vendite al di fuori dei negozi calano del 12,3% il commercio elettronico è in forte aumento (+33,8%).

Variazioni tendenziali negative per quasi tutti i gruppi di prodotti

Più in particolare, su base tendenziale, a dicembre, le vendite al dettaglio diminuiscono del 3,1% in valore e del 3,2% in volume. Si registra però una forte crescita per i beni alimentari (+6,6% in valore e +5,7% in volume) e una caduta per i beni non alimentari (-9,4% in valore e -9,5% in volume). Per quanto riguarda i beni non alimentari, si registrano variazioni tendenziali negative per quasi tutti i gruppi di prodotti, a eccezione di dotazioni per l’informatica, telecomunicazioni, telefonia (+15,3%), utensileria per la casa e ferramenta (+2,3%) e mobili, articoli tessili e arredamento (+0,5%). Le flessioni più marcate riguardano abbigliamento e pellicceria (-23,4%) e calzature, articoli in cuoio e da viaggio (-14,6%).

Rispetto a novembre 2020 +2,5%

Per le vendite al dettaglio a dicembre 2020 si stima però un aumento del 2,5% rispetto a novembre sia in valore sia in volume. Crescono marcatamente le vendite dei beni non alimentari (+4,8% in valore e +4,5% in volume), mentre sono quasi stazionarie le vendite dei beni alimentari (+0,1% in valore e +0,2% in volume). Considerando il quarto trimestre 2020, invece, le vendite al dettaglio diminuiscono in termini congiunturali dell’1,5% in valore e dello 0,8% in volume. Tale andamento è determinato dai beni non alimentari, che calano del 4,5% in valore e del 3,2% in volume, mentre crescono le vendite dei beni alimentari (+2,4% in valore e +2,2% in volume).

Smart Working, una rivoluzione necessaria

Cresce fra gli italiani il livello di preoccupazione per l’emergenza coronavirus, e se ora gli acquisti si concentrano sui beni di prima necessità a cambiare sono anche le strategie per fare la spesa. E il giudizio sui brand si “raffredda”.

Questi i primi effetti del lockdown sulle abitudini e i consumi degli italiani registrati dal monitoraggio settimanale di GfK sulle conseguenze del Covid-19 su stili di vita e strategie di consumo. I risultati riferiti alla prima settimana del lockdown evidenziano quindi un consumatore in costante e rapida evoluzione.

Nel carrello i beni essenziali, ma anche i libri

Ancora in crescita le preoccupazioni degli italiani, sia per la diffusione del Coronavirus (+11%) sia per la situazione economica attuale e futura, e aumenta anche la paura di non trovare nei negozi i prodotti di cui si ha bisogno, specialmente al Sud. I consumi si concentrano quindi sempre più sui beni essenziali, e cala la voglia di fare acquisti, anche online. Gli italiani mettono nel carrello soprattutto prodotti come pane, latte, farina, zucchero, prodotti per l’igiene personale, disinfettanti, acqua e surgelati. Tra le categorie che resistono ci sono però i libri, che tornano a essere un bene necessario per un numero crescente di persone.

L’importo medio della spesa cresce del +26%

Dopo la prima settimana di acquisti “compulsivi”, ma poco organizzati, e una seconda caratterizzata da un incremento della frequenza degli acquisti, durante la prima settimana di lockdown gli italiani sembrano aver elaborato nuove strategie. L’importo medio della spesa cresce del +26% e si fanno acquisti più attenti, per evitare di dover tornare spesso in negozio. Si annullano poi le differenze tra giorni infrasettimanali e sabato, solitamente il più importante per la spesa, a cresce ancora la penetrazione del canale online (+16%).

Verso un nuovo consumatore post-traumatico

L’isolamento forzato in casa sta cambiando sicuramente anche il modo in cui gli italiani si rapportano con i brand. Rispetto alla settimana precedente, GfK registra un giudizio maggiormente positivo sulla Distribuzione, mentre le aziende sono viste come poco attive, e poco vicine. Mai come oggi i consumatori chiedono ai brand una maggiore capacità di entrare in sintonia con il sentiment del momento. Rimane da capire cosa cambierà quando tutto questo sarà finito. Le aziende avranno a che fare con un consumatore “post-traumatico”, con nuove abitudini di consumo, nuove paure, e nuovi stili di vita. Ma anche desideri inespressi che emergeranno alla fine della quarantena

Spotify dichiara guerra agli account pirata

Spotify, il colosso svedese che ha rivoluzionato il mondo della musica, ha dichiarato guerra aperta agli account che utilizzano abbonamenti “premium”, ovvero a pagamento, pur senza essere realmente abbonati. Da qualche giorno infatti la piattaforma di musica in streaming ha iniziato a inviare email agli utenti che ritiene stiano accedendo gratuitamente alla versione premium di Spotify, pur disponendo solo di un profilo gratuito. Le versioni pirata di Spotify, quindi, avrebbero le ore contate e ancora poche note a disposizione.

Sono 71 milioni gli utenti che utilizzano abbonamenti premium a Spotify

In base ai dati pubblicati a dicembre dalla piattaforma, scrive Torrentfreak, sono circa 71 milioni gli utenti in tutto il mondo che utilizzano abbonamenti premium mentre sono 159 milioni gli utenti unici al mese. Quelli premium sono abbonamenti che permettono di ascoltare brani in modo illimitato, e senza pubblicità. Un piccolo lusso che però prevede  un costo di 9,90 euro al mese. Il servizio a pagamento, a differenza di quello gratuito, offre inoltre la possibilità di scaricare musica sul proprio dispositivo per poterla ascoltare anche offline, come e quando si vuole. Il servizi gratuito, invece, consente solamente l’ascolto di brani musicali, oltre ad avere alcune limitazioni e restrizioni, come ad esempio lo skip dei brani.

Stop agli abbonamenti premium “craccati”

Sembra proprio che alcuni utenti, tramite delle app che consentono di modificare l’accesso su Spotify, siano riusciti a fruire dei contenuti premium illegalmente, senza perciò pagare l’abbonamento mensile previsto. Ma Spotify se ne è accorta, e ora sta prendendo contromisure severe. Nella email inviata ai profili sospetti, infatti, la società spiega di aver “rilevato un’attività anormale sull’app”, avvertendo che future violazioni potrebbero comportare la sospensione, o addirittura la chiusura dell’account.

L’hashtag #Spotify balza in cima ai trending topic di Twitter

Da quando Spotify ha iniziato a inviare le missive, sono stati in molti a sfogare la propria disperazione sui social network, riferisce Adnkronos. Tanto che l’hashtag #Spotify è balzato in cima ai trending topic di Twitter. Ma non c’è davvero niente da fare. Ora anche i furbetti, se vorranno continuare a usufruire del servizio, dovranno disinstallare la versione pirata e scaricare l’app ufficiale. Bisogna pagare, altrimenti la musica è finita, almeno su Spotify.  Che, nel corso del suo ultimo Investor Day, ha annunciato che ad aprile 2018 si muterà sul mercato di Wall Street.

Agenzie SEO: consigli

Che gran parte delle attività di marketing si siano spostate sull’online, crediamo sia ormai un dato di fatto: che si tratti di prodotti o servizi, l’utente cerca una risposta alle proprie esigenze sempre più sul web e sempre meno sui canali tradizionali (ma fino a quando potremo definirli tali?). Ma, sopratutto nel nostro Paese, rimane sempre un problema: se per realizzare una brochure mi rivolgo ad uno studio grafico, se per diffondere un volantino ad un’agenzia di pubblicità o ad una radio per inviare un messaggio radiofonico, cosa faccio per emergere nella giungle del web? A chi mi rivolgo?

Verrebbe da rispondere a Google… Ma in realtà il pay per click, che consiste in tutta una serie di attività per le quali ad un determinato costo corrisponde un click sul proprio sito web, non è l’unica strada percorribile, come ci spiega Websenior, apprezzata agenzia SEO nata circa 3 anni fa in provincia di Monza. Google AdWords è uno strumento di promozione estremamente potente, in grado di amplificare in tempi brevissimi i risultati ottenibili dalla propria visibilità sul web. Tuttavia, come in ogni attività di promozione online, ha dei pro e dei contro: in particolare, se da un lato garantisce una buona intercettazione delle ricerche degli utenti entro poche ore dalla pubblicazione di una campagna, dall’altro non consente di investire sul proprio brand e, sopratutto, di pianificare al meglio il proprio budget. Essere ai primi posti nella ricerca a pagamento, infatti, non è come esserlo nei risultati organici che, al contrario, consentono di trasmettere autorevolezza ed importanza in relazione all’argomento cercato dall’utente finale. Per quanto concerne il budget, il CPC (costo per click) è un parametro difficilmente controllabile per via della forte concorrenza che, negli ultimi anni, ha portato ad una moltiplicazione continua di tale costo. Basti pensare che oggi se Websenior volesse promuovere la propria attività intercettando gli utenti che cercano la parola “agenzia seo“, finirebbe con lo spendere oltre 6 euro per ogni click ricevuto…

Infine, spesso le campagne AdWords richiedono di promuovere un tangibile incentivo economico per l’utente, sempre più attratto da messaggi che catturino l’attenzione con “offerte imperdibili” o “servizi gratuiti”, e questo è un altro elemento da considerare. E’ chiaro che anche in attività differenti, come il performance marketing o la SEO vanno considerati questi fattori, tuttavia è dimostrato come questi canali riescano ad indirizzare, tendenzialmente, utenti più interessati e con comportamenti migliori sulle pagine del sito: bounce rate e conversion rate sono quasi sempre significativamente più elevati dal canale organico che non da quello a pagamento, e questo anche per un fatto storico.

Insomma, investire nel PPC o nella SEO? Ne parleremo ancora…